La città introspettiva


Introspezione come come viaggio materiale di ricerca verso l’interno della città.


“Le infrastrutture, e innanzitutto le strade, sono state per decenni lo strumento primario e indispensabile per lo sviluppo architettonico e urbanistico[…]. E più ci si espandeva e, più Brown areas, aree vuote, edifici vuoti e dilapidati si lasciavano alle proprie spalle. In questa fase storica noi dobbiamo limitare al massimo il consumo di suolo agricolo, ma non possiamo certo bloccare lo sviluppo! Dobbiamo soltanto invertire la direzione.”


A. Saggio, Nuova generazione di infrastrutture, in “L’architetto”, n° 15, Aprile 2014.



La città non può più permettersi di allargare a dismisura i propri confini, di espandersi, di occupare altri terreni che possono essere lasciati alla natura. Il bisogno della città attuale, ed anche dei suoi stessi cittadini, è riqualificare gli spazi rimasti vuoti, abbandonati, degradati, presenti all’interno di essa ed all’interno di quelle che una volta sarebbero state definite le mura di cinta. E’ da qui che nasce il concetto di introspezione della città contemporanea (introspettiva: deriva dal latino introspectus, part. pass. di introspicĕre «guardare dentro»), un guardare dentro l’organismo vivente che la città è divenuta e da cui discende un anima frenetica, veloce, senza respiro che vivono giornalmente i pendolari, gli studenti, i lavoratori ed anche gli stessi pensionati.

Come spesso si legge nell’articolo da cui è presa la citazione riportata sopra, un metodo attuabile per non occupare ulteriore terreni con cementificazioni e cubature astronomiche è la densificazione delle aree già presenti all’interno della città, occupando e riqualificando quegli spazi inutilizzati, abbandonati, oppure semplicemente destinati a funzioni non più fondamentali per la città o i suoi abitanti. Nelle due foto sottostanti che ho scelto, riporto un intervento a Dallas in Texas, in cui un Highway, che tagliava in due il centro della città, è stata parzialmente coperta andando a donare nuovamente alla città aree precedentemente impraticabili, e costruendo su di esse padiglioni per eventi, spazi destinati a verde pubblico, uffici, abitazioni ecc. che hanno, una volta conclusi i lavori, fatto innalzare il valore economico dei terreni circostanti e degli edifici già esistenti, senza andare minimamente ad intaccare la mobilità stradale urbana e soprattutto non espandendo ulteriormente i confini cittadini oltre quelli attuali. Questo intervento ha, a mio parere, molte affinità con un progetto descritto nell’articolo citato, ovvero “Il recupero urbano del letto del fiume Cheonggyecheon”. La base di partenza è la stessa, un highway, tipica dei modelli cittadini americani, che si trova nel centro città, che a Seoul viene completamente smantellata riconsegnando le aree alla natura che l’uomo aveva cancellato, riportando in vita il vecchio corso del fiume, e a Dallas non eliminata ma ricoperta con una natura artificiale (i parchi e il verde pubblico) e densificata (nuovi edifici).

Nelle ultime parole della citazione, viene fatto un monito a non poter bloccare lo sviluppo della città, ma a farlo continuare invertendo la direzione dell’espansione: è proprio da questa frase che ho preso spunto per il nome dell’articolo, forzando il termine introspezione, esulando dalla sua normale accezione di ricerca interiore nell’animo umano, ma percependolo invece come viaggio materiale di ricerca verso l’interno della città. Inoltre esso, derivando dal latino, accende la speranza di poter portare una visione architettonico-urbanistica tale a Roma e non farla più assomigliare ad una utopia presente soltanto nelle aule universitarie.