Architetto e Docente universitario, Ruggero Lenci nasce a Roma nel 1955, attualmente è Professore di Architettura e Composizione architettonica e urbana presso La Sapienza – Università di Roma, è stato co-fondatore degli annali del dipartimento di architettura e urbanistica per l’ingegneria. E’ inoltre membro del dottorato di ricerca in ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica. autore di libri e direttore della collana editoriale Scienze dell’abitare sostenibile.
Svolge la professione partecipando a numerosi concorsi nazionali ed internazionali. Dal 1989 ha contribuito con ricerche, progetti e realizzazioni allo studio evolutivo dell’edilizia abitativa economica e popolare a Roma, Bergamo, Bologna, Venezia, Firenze, isola di bo – Svezia. Il suo interesse per il lavoro di Fuksas si inquadra nell’ambito delle ricerche sulle acquisizioni linguistiche dell’architettura contemporanea fra contenuto ed espressione. Il suo contributo teorico sul tema “Evoluzione e architettura tra scienza e progetto” propone un accostamento tra le discipline scientifiche, umanistiche e progettuali dal quale deriva il parallelismo (che parte da Ernst Haeckel): la morfogenesi ricapitola la filogenesi, ovvero la morfogenesi del progetto ricapitola la storia dell’architettura, le cui tesi sono contenute nei suoi libri: Evoluzione e Architettura (2008), Le mura poligonali con blocchi concavi (2019), Vultus Urbis (2020).
Le sue convinzioni sono che l’architettura è un’arte, che le arti sono inseparabili, che occuparsi più di una di esse è funzionale a ottenere uno sguardo maggiormente consapevole. Da tali convinzioni nasce lo sviluppo di un’attenzione oltre che per l’architettura, anche per la scultura e la pittura. Proprio per questo motivo all’attività accademica affianca da anni un’intensa attività artistica correlata alla precedente ma in grado di distinguersi per le valenze artistiche ed estetiche, che fanno di Lenci un originale e riconoscibile interprete dell’arte plastica.
Tra i progetti che hanno suscitato in noi maggiore interesse troviamo sicuramente gli alloggi Europan 1 del 2002. Il progetto abitativo disegnato da Ruggero Lenci e Nilda Valentin realizzato a Favaro Veneto nel comune di Venezia in un’area destinata all’espansione del settore pubblico non si limita a una ingegnosa sperimentazione nel campo dell’aggregazione tipologica e dell’invenzione. Riesce inoltre a produrre un’imponente sintesi linguistica arricchita da sobri accenti espressionistici, il tutto elegantemente circoscritto entro una griglia volumetrica di connotazione razionalistica, esso rappresenta una delle pochissime opere realizzate in Italia nell’ambito di questa importante iniziativa europea di sperimentazione architettonica sull’habitat vivente.
Per ragioni di esposizione sul sito furono costruiti due blocchi invece di uno allungato. Infatti, creando due volumi e disponendo le diciotto abitazioni in modo che ciascuna possa occupare una posizione d’angolo, tutti gli spazi abitativi beneficiano di un’esposizione ottimale alla luce solare. Ogni blocco si eleva su quattro piani fuori terra e offre un elevato livello di integrazione architettonica tra appartamenti e aree comuni in modo da creare un ambiente capace di favorire la crescita del senso di comunità tra i suoi abitanti.
La sperimentazione non si limita soltanto ai fini tecnologici ma esplora ampiamente anche la ricerca architettonica con diverse soluzioni adottate per il disegno degli spazi comuni interni, esterni (semi-pubblici), la distribuzione orizzontale e verticale di accesso sia al complesso che nei singoli appartamenti. Qui gli architetti sembrano porre particolare attenzione alla definizione dell’atrio, del vano scala che collega gli appartamenti dei diversi piani e del ponte pedonale. Quasi si volessero creare un microcosmo urbano attraversabile dall’utente lungo un percorso che offre una molteplicità di scorci e suggestivi effetti di luce che conferiscono alla sezione cava dell’edificio connotazioni e colorazioni diverse nelle diverse ore della giornata. In una certa misura, questa abile gestione della luce indiretta ricorda il modo orientale di calibrare la luminosità nelle antiche case giapponesi, come splendidamente descritto da Junichiro Tanizaki nel suo libro Elogio delle ombre.
“La luce è fioca? Permettiamo alle ombre di inghiottirci e di scoprire in esse la bellezza… l’addensarsi dell’oscurità… Gli occidentali amano ciò che brilla. Nelle stanze in cui vivono, illuminano ogni angolo e dipingono di bianco pareti e soffitti… Noi orientali invece ci rassegniamo dolcemente all’ombra così com’è, senza disgusto…”
I due architetti sembrano ricordare questa atmosfera accogliente, che hanno ricreato nel loro progetto calibrando le infinite gradazioni della luce indiretta per ottenere un’ambientazione di delicata calma. Gli appartamenti interagiscono con questo spazio suggestivo e scenografico avvolto in penombra non solo attraverso i portoni d’ingresso ma anche attraverso aperture vetrate e bow-window in cemento armato e piastrelle di vetro sui pianerottoli degli appartamenti duplex.
In fine un fondamentale obbiettivo del progetto è stato il tentativo di dimostrare la possibilità di utilizzare gran parte del modello di Le Corbusier per creare appartamenti architettonicamente innovativi che soddisfino gli standard degli anni 2000, il progetto intraprende anche un’indagine lessicalmente corretta del rapporto cruciale tra contenuto ed espressione. Gli elementi di licenza linguistica introdotti – ovvero l’ondulazione della facciata d’ingresso e le pareti curve, vetrate, opache – sono in ogni caso saldamente ancorati ai caratteri di rigorosa concisione che emergono dal dialogo serrato tra espressionismo e razionalismo, che diviene così intenso come modellare non solo il loro involucro murario ma anche la loro stessa struttura.
Altri progetti che ci hanno particolarmente colpito sono le sistemazioni per le piccole stazioni ferroviarie, con interessantissimi sistemi di superamento dei binari sia in superficie (con passerelle) che sottoterra, e le linee pulite degli spazi chiusi della stazione sempre con notevole interessamenti ai guadagni solari di luce e calore grazie alle ampie vetrate. Ed infine anche il concorso per lo stadio di Siena, con notevoli giochi di interramento e sopraelevazioni degli spalti in base all’orografia del terreno.
Secondo il pensiero dell’architetto, una scultura è realizzabile mediante l’utilizzo di varie tecniche ma la cosa realmente importante è esprimere quello che si sente dentro. L’approccio alla scultura di Lenci si basata sullo lo studio del volume, partendo quindi da un solido che in questo caso è un parallelepipedo e quindi una forma molto dura, un platonico però squadrato, con degli angoli retti, e lavorando sulle due direzioni quindi sui due assi, si può modellare e tagliare questo volume di partenza, lui chiama questi volumi Morfemi dinamici. Quando noi parliamo di morfemi parliamo sostanzialmente con un linguaggio dell’architettura e del design che si esprime nelle due dimensioni. Invece l’artista cerca di eseguire un’operazione che tenta di andare oltre, passare alla terza dimensione e aggiungere il tempo. Dinamico vuol dire, vuol dire che il volume e disarticolato nel momento in cui possiamo estrarne delle parti, rendiamo variabile suo assetto, cioè non un assetto statico. Nel momento in cui l’assetto è variabile perché questi possono dilatarsi oppure contrarsi, diventano dei volumi che interagiscono con lo spazio. L’opera su cui ci siamo soffermati è “Le mani aperte” quest’ultima è stata realizzata per Concorso nazionale per il monumento ai caduti del terremoto dell’aquila. Quello che la scultura vuole trasmettere oltre i temi espressi prima è che come il terremoto che produce delle faglie che separano due zolle di terra, si Creano in opposizione adesso sette mani. Sono mani che, tese le une verso le altre, con la loro attività, generano le connessioni in grado di ricreare unità, di sanare fratture profonde. Sono mani che gridano, nella sofferenza e nella forza della ricostruzione. La scultura si compone di due parti indipendenti (a e b) realizzate in bronzo. Questa come le altre opere dell’artista è definita da lui, arte suprematista. Ovvero un’arte che non ha funzione, le sculture e quadri che lui produce non hanno alcuna funzione ma semplicemente il fine di trasmettere. L’architetto infatti sottolinea come l’arte sia per lui una valvola di sfogo e che ci sia infatti una forte contrapposizione tra la sua architettura poiché ricca di funzionalità.